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PESANO LE CONCESSIONI CETA ANCHE CON IL GIAPPONE

 

tutelati solo il 6% dei prodotti a denominazione UE

 

PESANO LE CONCESSIONI CETA

ANCHE CON IL GIAPPONE

 

Nonostante l’inguaribile ottimismo di qualche rappresentante del nostro Governo, su i media nazionali, abbia tentato di “arrampicandosi sui muri” di spiegare agli italiani i vantaggi, tutti da verificare nella realtà, dell’accordo (CETA), stipulato dalla UE con il Canada, rischia di passare sotto silenzio i preventivabili “effetti a caduta” che questo sciagurato trattato avrà, nel prossimo futuro, nelle trattative di rinnovo di accordi commerciali che la UE, e il nostro Paese, hanno da tempo con diversi Paesi dei 5 continenti.

Lo documenta quello, ormai in fase avanzata, con Giappone.

Trattativa che ha fatto emergere come le concessioni accordate al Canada siano divenute una vera e propria “palla al piede”, per non dire uno strumento di permanente “ricatto” che avrà effetti pesanti per le produzioni agroalimentari europee e italiane in particolare.

A “pagare pedaggio” sarà, infatti, la stragrande maggioranza delle denominazioni Made in Italy riconosciute dall’Unione Europea, prodotti simbolo di una cultura e di una tradizione del “fare” irripetibili in qualsiasi parte del Globo,  causa la coesistenza con quella moltitudine dei marchi privati, già registrati, con quelli a indicazione geografica. 

Lo afferma, in una sua dettagliata nota, la Coldiretti che evidenzia come nell’accordo con il Giappone sia prevista la tutela, per l’intera Unione Europea, di una lista di appena 205 indicazioni geografiche per prodotti alimentari, vini e bevande alcoliche a cui sarà riservata la protezione dell’articolo 23 dell’accordo TRIPS.

In altre parole su un complesso di 3154 denominazioni dell’Unione Europea (1401 Dop/Igp/Stg e 1753 Doc/Docg/Igt), uno “scrigno” di genuinità e salubrità inimitate, quelle tutelate rappresentano appena il 6%. 

Dunque, come previsto dal CETA, solo una parte, assolutamente marginale, dei prodotti a denominazione di origine verrà tutelata. Se si considera che l’Italia da sola conta su 533 vini e 291 prodotti alimentari a denominazioni di origine (Dop/Igp) riconosciute dall’Unione Europea si riesce a comprendere come il danno rischi di raggiungere proporzioni assolutamente inimmaginabili grazie alla miopia della politica comunitaria che ha sempre penalizzato l’impegno delle produzioni mediterranee rispetto a quelle continentali, alla “faccia” di quella Carta Rurale Europea varata nel 1995 e base degli accordi al summit di Barcellona dello stesso anno.

Affermare che l’accordo con il Canada è ormai un vero e proprio “cavallo di Troia” delle politiche commerciali dell’Unione incapace, come lo è relativamente alla vicenda immigrati, di esprimere quell’accordo di unione politica e commerciale che i padri costitutori tradussero nel Trattato di Roma del 1954.

Lo sfascio di cui Bruxelles si sta facendo carico ha aperto le porte ad una concorrenza sleale che danneggia i produttori e inganna i consumatori sui mercati internazionali dove invece l’Italia e l’Unione Europea hanno il dovere di difendere i prodotti che sono l’espressione di una identità territoriale non riproducibile altrove, realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione e sotto un rigido sistema di controllo.

Per questo la mobilitazione permanente voluta da Coldiretti a cui si sono associate numerose e importanti organizzazioni (Cgil, Arci, Adusbef, Movimento Consumatori, Legambiente, Greenpeace, Slow Food International, Federconsumatori, Acli Terra e Fair Watch) per fare pressing, anche con email,  bombing e tweetstorm sui parlamentari che dovranno votare sulla ratifica del trattato con il Canada, per poi passare alla Came#stopCETA,  deve e può rappresentare

il simbolo della nostra volontà di non essere “derubati” delle nostre identità con cui le imprese agroalimentari ci hanno permesso di affascinare i consumatori di tutto il mondo. 

 

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